Ci stiamo abituando all’intolleranza?
Cosa si cela sotto il fenomeno crescente dell’intolleranza? Da quali membra risale il rigurgito fascista? Cosa accende il fuoco del razzismo? Difficile a dirsi e quest’articolo non ha la pretesa di dare risposte. Eppure, non può più negarsi che questi fenomeni siano diventati una pericolosa normalità.
A voler contare gli episodi di intolleranza e razzismo accaduti soltanto nell’ultima settimana, si farebbe fatica a tenerli in una mano. Gli insulti al calciatore Mario Balotelli durante la partita Verona – Brescia; l’assegnazione della scorta alla senatrice ottantanovenne Liliana Segre, vittima di circa 200 messaggi minatori al giorno; gli incendi della libreria “La pecora elettrica” e del locale “Baraka Bistrot” nella periferia romana; lo scontro verbale tra il vignettista Vauro e l’esponente dell’estrema destra romana Massimiliano Minnocci, detto “Er Brasile”, durante la trasmissione televisiva “Diritto e rovescio” in onda su Rete 4; il rifiuto del sindaco di Predappio, Roberto Canali (Centrodestra), di finanziare il viaggio ad Auschwitz ad alcuni studenti: “Niente soldi a chi vede la storia da una sola parte”. La verità è che la storia si scrive ogni giorno e quella dell’Italia sta prendendo una direzione preoccupante.
Condannare non basta più. È necessario indagare e capire. Come ogni fenomeno di massa, anche l’intolleranza, il razzismo, l’antisemitismo hanno una scaturigine più o meno evidente. È da lì che bisognerebbe partire. Eppure, l’impressione è che, ormai, episodi come quelli sopra elencati siano una realtà irrefrenabile, al limite tamponabile. Si fatica a prendere misure severe contro squadre e tifoserie i cui membri assumono comportamenti razzisti verso gli avversari; si stenta a prevedere strumenti idonei a determinare responsabilità personale degli utenti che usano sui social un linguaggio aggressivo e intollerante; finanche i talk show politici, da luogo di aperto dibattito e informazione, sembrano essersi trasformati in teatri di belve, in cui vanno in scena, sempre più di frequente, copioni di insulti e slogan discriminatori. Come mai? Probabilmente, questo è un limite della democrazia attuale: quando essa, con le sue molteplici prerogative (le “libertà di”), viene data per scontata, inevitabilmente si indebolisce e abbassa la guardia nei confronti delle frange estreme che si annidano nel suo tessuto. Lo aveva sostenuto il filosofo Karl Popper, padre del “paradosso della tolleranza”: la società, per garantirsi la sopravvivenza, deve essere intollerante nei confronti dell’intolleranza.
Ma da dove partire? Bisognerebbe, innanzitutto, chiedersi cosa stia determinando episodi sempre più numerosi di discriminazione. Scarso livello culturale, crisi occupazionale, divario socio-economico rappresentano il terreno di coltura di contrasti sociali, frustrazioni e disprezzo nei confronti del diverso. Tuttavia, sarebbe riduttivo puntare il dito solo nei confronti di questi fattori. Quello che attualmente sembrerebbe determinante nell’esplosione del fenomeno è un certo tipo di comunicazione politica, aggressiva, “politically incorrect” che, resa martellante dall’uso di internet e dei social network, funziona come un megafono, distorce la realtà, asseconda gli impulsi della massa per il sol fine del consenso. Il linguaggio forte, sprezzante, senza filtri appare più “vero”. Fa leva sugli interessi individualistici ed egoistici di alcuni soggetti a scapito di altri. Fa leva sulla discriminazione.
In un’intervista andata in onda mercoledì 6 novembre durante la trasmissione “Fuori dal coro”, il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha dichiarato, commentando la proposta della Senatrice Segre di istituire una commissione parlamentare contro il razzismo e l’antisemitismo, che “in Italia non esistono fascisti ma milioni di italiani orgogliosi di essere italiani che pretendono rispetto per la nostra storia e per la nostra cultura”. Che nel nostro paese non ci siano fascisti è falso: ben due partiti nazionali, Forza Nuova e CasaPound si dichiarano esplicitamente come partiti d’ispirazione fascista e si presentano alle elezioni come tali. Lo stesso Salvini si è sempre rifiutato di definirsi antifascista. Nella seconda parte della frase di Salvini, invece, si scova l’intento di camuffare il fascismo con il nazionalismo. A ben guardare, partiti identitari come Lega e Fratelli D’Italia celano, dietro la bandiera del nazionalismo, del “prima agli italiani” – quelli bianchi, con molta probabilità – una retorica populista anti-immigrazione, discriminatoria nei confronti di minoranze culturali e religiose e di interesse nei confronti di regimi autoritari come quello russo o ungherese.
Non sembrerebbe azzardato affermare che lo sdoganamento della violenza verbale da parte dei leader politici abbia generato un aumento dei casi di violenza stessa. Lo dimostrano i fatti di cronaca. Come porsi, allora, dinanzi a questa relazione? Come arginare il fenomeno dell’intolleranza? Auspicare l’introduzione di controlli e barriere da parte delle multinazionali del web, interessate – discutibilmente, se si guarda al ruolo che hanno assunto nella società – ad aumentare i flussi e i ricavi, potrebbe arginare i discordi di odio in rete? Rimettere alla legge la determinazione di cosa sia razzismo e cosa no e, quindi, subordinare alla composizione delle maggioranze parlamentari l’intensità degli strumenti repressivi, risulterebbe un deterrente rispetto agli atti discriminatori o sarebbe, come qualcuno ritiene, addirittura lesivo della libertà di pensiero?
Come dichiarato in apertura, quest’articolo non pretende di dare soluzioni. Anche se le vie sono molte e controverse, non è più possibile, però, indugiare su un problema che sta assumendo i caratteri di una ripugnante normalità. È dalla politica che ci si aspetta un deciso cambio di rotta: che essa ritorni ad assolvere la funzione che le è propria, comporre e mediare i conflitti, non crearli.
Classe 1995 e svariati sogni nel cassetto. Diritto, politica e astronomia sono le mie passioni: razionale al punto giusto, nel tempo libero mi lascio affascinare dall’infinito. Passerei intere giornate a leggere classici perché in uno vi ho letto che “la bellezza salverà il mondo”. E ci credo follemente.