I Diritti Umani ti appartengono

In occasione della “Giornata Mondiale dei Diritti Umani”, ripercorriamo le tappe di alcuni avvenimenti verificatisi in zone diverse del Mondo per chiederci se ci stiamo muovendo verso la piena realizzazione di quelle libertà sancite dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. 

“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.” (Art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani).

Il 10 dicembre si celebra la “Giornata mondiale dei Diritti Umani”. È la data che evoca la stipula della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, avvenuta proprio il 10 dicembre del 1948, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Attraverso questa solenne deliberazione, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sanciva, in 30 articoli, l’inviolabilità dei diritti civili, politici, sociali, economici di ciascun individuo.  

Eppure, a più di 70 anni dalla ratifica, il contenuto della Dichiarazione è ben lungi dall’essere applicato in maniera generalizzata. Le sue disposizioni, infatti, sono ancora oggi violate in molti Stati del mondo, dove i governi locali usano reprimere con la forza il dissenso della popolazione, comprimendo, di fatto, la libertà di manifestare liberamente il pensiero.  

Moltissimi potrebbero essere i casi da citare; ci limitiamo, però, all’analisi di alcune soltanto delle situazioni che, balzate agli onori della cronaca negli ultimi mesi, sono divenute l’emblema del fenomeno dell’uso eccessivo della forza da parte della polizia. Parliamo delle manifestazioni avvenute ad Hong Kong, in Colombia ed in Iraq. 

Manganelli Hongkonghesi 

Sul sito di Amnesty International è riportata la richiesta, da parte dell’Ong che da decenni si batte per la difesa dei diritti umani, di “avviare un’indagine indipendente per accertare la violazione dei diritti umani commessa dalla polizia hongkonghese” per reprimere le proteste della popolazione verificatesi negli ultimi mesi. 

La questione è intricata e, quindi, è opportuno fare un passo indietro. Hong Kong è un piccolo territorio a sud della Cina, dove vivono circa 7 milioni di persone. È, dal 1997, una regione amministrativa speciale cinese, cioè è formalmente parte della Cina ma ha una forma di autonomia. Prima, dal 1842, era stata una colonia britannica strappata all’Impero cinese dopo la Guerra dell’Oppio. Sotto il dominio del Regno Unito, Hong Kong aveva sviluppato un’economia capitalista e un sistema scolastico e giuridico basato su quello inglese. Nel 1997, la regione fu restituita alla Cina, la quale, però, si impegnava a garantire, per almeno 50 anni (fino al 2047) , la sostanziale autonomia politica ed economica della città. Il Partito Comunista cinese, però, ha, nel tempo, cercato di erodere questi spazi di indipendenza, infiltrandosi, di fatto, nel sistema politico – elettorale hongkonghese, censurando i filo-indipendentisti e, addirittura, facendo chiudere alcune librerie della città che vendevano libri proibiti in Cina. Le attuali manifestazioni, represse con la violenza da parte della polizia, rappresentano una risposta al tentativo cinese di varare una legge che avrebbe consentito di estradare nella Cina continentale gli accusati di determinati crimini. Secondo gli Hongkonghesi, l’emendamento in questione rappresenterebbe una chiara violazione dei diritti umani perché determinerebbe un’ingerenza nel sistema democratico della città e nasconderebbe l’obiettivo di far processare gli oppositori dai tribunali del regime. Le proteste, che hanno visto coinvolti molti studenti universitari, sono state stroncate mediante l’uso di spray urticante, proiettili di gomma e cannoni ad acqua. Oltre 1300 sono stati gli arrestati, alcuni dei quali probabilmente illegali e arbitrari. Secondo Amnesty, molte violenze perpetrate dalla polizia sarebbero state inflitte a “a scopo di punizione”; in molti casi è stato vietato ai fermati di far accesso ad assistenza legale o medica. Sul sito dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani è stato lanciato un chiaro monito alle autorità coinvolte: “We understand the responsibility of authorities to ensure public order, but international standards require that such an objective cannot displace the rights of individuals to freedom of expression and the right to protest (trad. Comprendiamo la responsabilità delle autorità di assicurare l’ordine pubblico, ma le norme internazionali richiedono che il perseguimento di un simile obiettivo non possa minare la libertà di espressione e di manifestare degli individui). 

La situazione rimane ancora molto accesa e, nonostante l’emendamento sia stato ritirato, la “città dai due sistemi” continua a lottare per la sua autonomia.  

 La Colombia vuole rinascere 

Dallo scorso novembre, anche la Colombia è stato teatro di manifestazioni contro le politiche restrittive del Presidente Duque. Lo sciopero generale, indetto dagli agricoltori, aveva coinvolto minatori, dipendenti pubblici, operai, studenti e aveva visto la partecipazione di migliaia di persone che, marciando per le strade della capitale, Bogotà, avevano, in un primo momento, avanzato rivendicazioni di tipo economico (riduzione dei prezzi della benzina, lotta al carovita), e poi prettamente di stampo sociale (libero accesso alle università, rispetto dei diritti delle donne e degli omosessuali, difesa dei diritti umani).  Durante le proteste, che non accennano ancora a placarsi, hanno perso la vita almeno 4 persone, vittime dell’uso eccessivo della forza da parte della polizia antisommossa. Secondo le testimonianze, un giovane di 18 anni sarebbe morto a causa dell’esplosione di una bomba lanciata ad altezza uomo dai militari. Centinaia gli arresti, spesso arbitrari. Per contenere la situazione, il Presidente Duque ha imposto un coprifuoco permanente e ha schierato circa 4 mila soldati.  

In un Paese dilaniato dalla corruzione e dalla crisi economica, un nuovo spettro sembra minacciarne ulteriormente la stabilità: come dichiarato da alcune popolazioni indigene, “in Colombia si sta consumando un genocidio ai danni dei popoli nativi” ad opera di nuovi cartelli narcos e organizzazioni paramilitari che si scontrano per contendersi il mercato degli stupefacenti.  

 L’Iraq non si arrende 

Anche in Iraq si paventa una palese violazione dei diritti umani a seguito della repressione delle proteste che, a partire dallo scorso ottobre, hanno visto migliaia di persone scendere in piazza per manifestare contro disoccupazione, povertàe corruzione politica. L’Iraq, secondo produttore di petrolio al mondo, è, infatti, uno dei Paesi in cui si registra un dilagante livello di corruzione e di disoccupazione giovanile. Le manifestazioni, che, tra le altre cose, si muovono contro i tentativi di ingerenza politica da parte dell’Iran, sono state molto violente: secondo le Ong internazionali, sarebbero più di 350 le vittime, colpite dai proiettili dei militari. Secondo il New York Times, l’esercito sarebbe intervenuto più volte anche con i bulldozer per disperdere le persone. Imprecisato il numero dei feriti, centinaia gli arrestati.  

A seguito della condanna da parte dell’ayatollah Ali al Sistani, massima autorità religiosa irachena, il presidente Abdul Mahdi si è dimesso. Le violenze, però, non accennano ad arrestarsi.  

Hong Kong, Colombia, Iraq… ma anche Russia, Cile, Venezuela, Libia, Mediterraneo. Sono ancora molte le realtà, i regimi, i conflitti che minacciano la piena affermazione dei diritti umani universalmente sanciti. Siamo ancora ben lontani dalla concreta realizzazione dello spirito di fratellanza, di libertà e dignità sancito dall’art 1 della Dichiarazione Universale. Per tale ragione, quindi, è necessario che ogni singola persona si sforzi di promuovere, mediante la cultura, l’insegnamento e l’educazione, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Perché non va dimenticato che, come recita il Preambolo della Dichiarazione, “l’inosservanza e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità” e che, soltanto attraverso l’impegno di tutti, è possibile auspicare “l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano di libertà di parola e di credo, di libertà dalla paura e dal bisogno”.  

I diritti umani ci appartengono. Sono i nostri diritti e la loro attuazione generalizzata rappresenta la più alta aspirazione dell’uomo.  

Pietro D'Ambrosio

Classe 1995 e svariati sogni nel cassetto. Diritto, politica e astronomia sono le mie passioni: razionale al punto giusto, nel tempo libero mi lascio affascinare dall’infinito. Passerei intere giornate a leggere classici perché in uno vi ho letto che “la bellezza salverà il mondo”. E ci credo follemente.