Sant’Antonio Abate: la strada romana vale un click?

Attraverso un sondaggio lanciato sui social, l’amministrazione comunale ha chiesto alla cittadinanza di esprimersi sul futuro della strada romana i cui resti sono emersi durante i lavori di restyling di Piazza Don Mosè Mascolo. Un’iniziativa che fa riflettere su quanto e se i social rappresentino davvero uno strumento di democrazia. 

Valgono un click i resti dell’antica strada romana emersa durante i lavori di restyling di Piazza Don Mosè Mascolo? È quello che sembra abbia lasciato intendere l’amministrazione comunale di Sant’Antonio Abate pubblicando lo scorso 5 ottobre sulla pagina Facebook del sindaco Ilaria Abagnale un sondaggio in cui chiedeva alla popolazione come comportarsi: perimetrazione o copertura? “Lasciamo la scelta alla cittadinanza” si legge in un commento della prima cittadina in cui vengono riportate anche alcune informazioni sui costi e le modalità dei due possibili interventi. Posto che la giunta si sarà sicuramente confrontata con esperti prima di arrivare al sondaggio, e fiduciosi che lo faccia ancora anziché prendere una decisione definitiva dettata dal voto della massa, resta un dato di fatto: è stato chiesto agli abatesi di decidere su Facebook il futuro di un pezzetto di storia. E con 2283 click la popolazione ha detto la sua. 

È il trionfo della democrazia. Questa l’opinione di molti. Perché è lodevole che un’amministrazione prenda decisioni così importanti tenendo conto di quello che vogliono i cittadini. Immaginate però per un attimo di trovarvi di fronte a un sondaggio Facebook lanciato da un medico: clicca mi piace se preferisci somministri un antibiotico, condividi se pensi basti un antidolorifico, commenta se è il caso di ricorrere all’eutanasia.  

No, non è un paragone forzato.  
Perché l’archeologia e l’architettura, al pari della medicina, dell’ingegneria, dell’urbanistica, della giurisprudenza ecc… richiedono anni di studio e ricerca. E quanti di quei 2283 click sono frutto di una reale competenza? Basta leggere i commenti che accompagnano la votazione per immaginare la risposta: accanto a qualche coraggioso che prova a parlare di storia, cultura e valorizzazione, c’è chi, fidandosi poco della Soprintendenza, si chiede che garanzie ci siano che quella ritrovata sia una strada di origini romane; altri fanno un passo in avanti, e in barba al parere degli esperti, si dicono sicuri che non lo sia; qualcuno la ritiene in tutti i casi un reperto di poco valore,  qualcun altro senza mezzi termini parla di “quattro pietre” e fa presente che i soldi necessari alla perimetrazione e alla manutenzione potrebbero essere investiti per risolvere “i veri problemi di questo paese”.

L’esercizio di democrazia è riuscito quindi. Tutti si sono sentiti padroni della cosa pubblica al punto di sentenziare come esperti su un tema tanto tecnico quanto complesso. Noi però abbiamo preferito prenderci qualche settimana di tempo per maturare il nostro pensieroAbbiamo letto, cercato, riflettuto, chiacchierato con studenti di Architettura, provato a guardare oltre il nostro naso e oggi, solo oggi, ci sentiamo pronti a partecipare al gioco. Se tutti possono parlare di tutto, ecco quello noi pensiamo di quella strada e di quel sondaggio.  

Non c’è futuro dove non si tutela il passato.  
Sembra una frase fatta, eppure è quello che viene fuori se si fa qualche ricerca sullo urban sprawl”, più comunemente “dispersione urbana”.  La piaga interessa tutto il mondo ma in Europa registra il suo caso più grave proprio nell’Agro e nell’adiacente conurbazione dei centri cittadini come Sant’Antonio Abate e Gragnano. Si tratta di quel fenomeno che, a metà strada tra abusivismo e speculazione, vede le nostre città crescere a vista d’occhio in maniera tanto disorganizzata che i confini hanno smesso di esistere. Continuando a costruire ex novo, come se il suolo fosse una risorsa illimitata, abbiamo determinato l’innalzarsi di rischi idrogeologici e reso un po’ alla volta i nostri Comuni invivibili. Da qui l’importanza di conservare quello che c’è, anziché continuare a creare da zero. 

Cosa c’entra però l’archeologia? 
L’archeologia è parte del paesaggio. E allora bisognerebbe chiedersi: il paesaggio è un paesaggio da guardare o da vivere? Non si può rispondere se del paesaggio non si ha coscienza. Salvatore Settis nelle sue lezioni raccolte da Einaudi in “Architettura e democrazia” scrive che “il cittadino comune […] non è culturalmente attrezzato a intendere le sfumature, e nulla si fa per porre rimedio a questa lacuna. È anche per questo che il paesaggio si degrada, e spesso non siamo in grado neanche di dire perché”. La strada romana emersa in piazza è l’esempio lampante di tutto questo. Perché essendo venuta fuori in uno spazio pubblico non è al centro di conflitti di interesse che sarebbero potuti sorgere se la scoperta fosse avvenuta in una proprietà privata; perché economicamente non deve necessariamente essere un peso per il bilancio comunale, considerato il periodo storico e tutti gli enti sovracomunali che ad oggi erogano fondi per la valorizzazione di reperti simili; perché se adeguatamente inserita in un percorso culturale e turistico che attraversi comuni come Pompei, Castellammare di Stabia, Sorrento, Ercolano può rappresentare per la reputazione del nostro territorio un valore aggiunto; ma soprattutto perché l‘archeologia è il fulcro identitario del paesaggio: non riconoscerla significa non sapere chi siamo e, cosa più grave, significa sottrarsi al dovere che si ha nei confronti della storia, quello di tramandarla. Se nonostante tutto questo, scegliamo di guardare a quei reperti storcendo il naso, non c’è da sorprendersi se quando in ballo ci sono i nostri interessi personali costruiamo dove non dovremmo, se non teniamo conto di nessun vincolo, se continuiamo ad abusare di un suolo che prima o poi ci si rivolterà contro.  

Sarebbe stato a nostro avviso molto bello se qualcuno ci avesse parlato anche di questo prima di chiederci cosa fare di quelle quattro pietre. Sarebbe stato più stimolante anche per il popolo – crediamo – se l’occasione fosse stata colta per avviare una più ampia riflessione sul patrimonio storico di cui godiamo e che un po’ alla volta stiamo dimenticando. Sarebbe stato secondo noi più giusto, e addirittura più democratico, raccontarci la storia di quella strada e riportarci esempi di come reperti simili in altri comuni siano stati integrati perfettamente nell’architettura urbana senza che disturbassero, ma permettendo al contrario che divenissero cuore pulsante del paesaggio. Quello, dal nostro punto di vista, sarebbe stato un esercizio di partecipazione più concreto, perché crediamo che chi amministra debba assumersi l’onere di certe scelte con coraggio senza delegarle al cittadino, ma possa coinvolgerlo nei processi decisionali rendendolo consapevole ed informato. 

Ecco perché oggi, per quanto possa farci piacere che il 55% dei votanti si trovi d’accordo con noi e si sia espresso a favore della perimetrazione anziché della copertura, ci sembra necessario auspicare che il futuro del nostro passato non venga più sottoposto al giudizio di un social network.  

Confidiamo nell’attuale amministrazione comunale perché accolga la riflessione come consiglio.
Accontentare la massa non significa sempre essere nel giusto.
 

A cura di Valentina Comiato
con la collaborazione di Gabriele Cesarano e Maria Grazia Guastaferro
studenti di Architettura

Valentina Comiato

Un incastro di contraddizioni croniche, a partire dal fatto che potrei scrivere di qualunque cosa ma che vado in crisi se si tratta di parlare di me. 30 anni, copywriter, giornalista e marketing manager. Laureata in lingue perché affascinata da tutto quello che non somiglia al posto in cui vivo. Sarà perché vivo in un paese piccolo, dove per i sogni a volte sembra non esserci spazio, allora ogni tanto vorrei infilarli in valigia e portarli con me all’estero. Viaggi brevi però, perché credo anche nelle radici, continua a leggere