Verso il 21 marzo: vi raccontiamo di… Michele Cavaliere

Continua il nostro speciale “Verso il 21 marzo”, questa volta vi raccontiamo di Michele Cavaliere, un imprenditore caseario di Gragnano, ucciso dalla camorra nel 1996. Una vicenda vicina che deve far riflettere sull’importanza di ognuno di noi nella lotta alla camorra: la storia, il fenomeno del racket oggi e la memoria.

Dopo avervi raccontato la storia di Michele Ciarlo e di Simonetta Lamberti , integriamo il nostro speciale “Verso il 21 marzo” con un’altra storia: quella di Michele Cavaliere.
Quello che volevamo fare era ricordare la memoria di innocenti vittime di mafia, legate al nostro territorio e a luoghi che chi vive a Sant’Antonio Abate conosce bene. Storie vicine che dovrebbero far riflettere su quanto il fenomeno camorristico sia, purtroppo, radicato nel nostro paese. Ricordare è importante e non solo il 21 marzo “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie“.

LA STORIA
Gragnano, 19 novembre 1996.
Sono le 4:10 del mattino quando un colpo d’arma da fuoco spezza il silenzio dell’alba. Un proiettile che si dirige dritto verso un bersaglio studiato e centrato in pieno. L’uomo nel mirino è Michele Cavaliere, titolare di un caseificio di Gragnano che cade a terra davanti alla sua abitazione, probabilmente cosciente per pochi attimi, il tempo di rendersi conto che quello che ha subito è un vero e proprio attentato camorristico, prima di cadere in un coma profondo. Un coma che durerà fino al 12 dicembre, giorno del decesso. Inutili le speranze: Michele è stato ucciso.
 

LA DINAMICA
L’imprenditore si era ribellato alle logiche del sistema, e si sa che – si fa per dire – chi si ribella dev’essere ammutolito per sempre, nessuno sconto.
In quegli anni molti imprenditori della zona dei Monti Lattari ricevevano richieste di tangenti da parte del clan Afeltra-Di Martino, e a Gragnano a fare le veci del clan era il boss Nicola Carfora detto “’O fuoco”.
Michele non ci sta, la sua audacia e la voglia di giustizia lo portano a denunciare l’accaduto alle forze dell’ordine. Altri vedendolo potrebbero emularlo, trovare la forza e il coraggio di ribellarsi a certe assurde logiche, e così “’O fuoco” decide di agire direttamente. Chi parla deve morire; e Michele muore per mano dello stesso boss, esecutore materiale dell’omicidio.
Ad incastrare Carfora è un bossolo trovato sulla scena dell’accaduto, appartenente alla pistola sequestrata nella sua abitazione nel 1998 a seguito di un blitz, nel quale viene arrestato e portato in cella, condannato a restarci fino alla fine dei suoi giorni.

IL FENOMENO DEL RACKET ANCORA OGGI
Nonostante le testimonianze e la gente che ha pagato con la vita, come Michele Cavaliere, il “racket del pizzo” è una pratica ancora fortemente in auge e che si rivela più vicina di quanto crediamo.
Il racket rappresenta per il mafioso un modo per farsi riconoscere e imporsi sul territorio.
Nonostante porti pochi soldi alle casse delle mafie (si stima che rappresenta il 5% dei guadagni di un’attività criminale), è un fenomeno talmente intrinseco nel sistema camorristico che, nonostante le possibilità sempre più elevate di essere denunciati, è ancora diffuso.
È l’essenza della mafia e contiene per intero tutte le componenti di questa fenomenologia criminale. Tommaso Buscetta, il pentito boss di Cosa nostra, in una delle sue testimonianze offre uno spunto di riflessione sul racket con queste parole: “Quando mi presento a lei, lei deve sentire il mio peso e deve sentirlo velatamente. Io non verrò mai a minacciarla, verrò sempre sorridente e lei sa che dietro quel sorriso c’è una minaccia che incombe sulla sua testa. Io non verrò a dirle: le farò questo. Se lei mi capirà bene; se no, lei ne soffrirà le conseguenze”.
È questa la vera forza del fenomeno: il riconoscere la mafia come “potente”, accrescendo così l’ego dei boss. Da questo si capisce quanto sia importante combattere il racket. Una distruzione completa porterebbe ad una buona distruzione della “struttura mafiosa”.

LA MEMORIA DI MICHELE CAVALIERE
È il 2012, sono passati 16 anni dall’accaduto, quando la storia di Michele torna sulle cronache dei giornali locali. Durante il concerto di chiusura della festa della “Madonna del Carmine” a Gragnano, viene passato a Rosario Miraggio, ospite della serata, un biglietto contenente un augurio di una “presta libertà” a Nicola’O fuoco”. Miraggio lo legge, forse non sapendo neanche chi fosse il destinatario e parte qualche applauso dalla folla. Com’è possibile che qualcuno ancora oggi sia amico della camorra in un territorio che ha subito così tanto?
Per fortuna, in questo stesso territorio, c’è chi agisce e chi ricorda, sul serio, il coraggio di Michele Cavaliere.
A Gragnano, la sua città, gli è stato dedicato il nome della stradina dove abitava e dove nel 2008 il Comune ha voluto omaggiarlo con una targa.
Nel 2016 è stata portata avanti una petizione per dedicare alla memoria di Michele Cavaliere la biblioteca comunale.
E per ultimo, nel febbraio del 2018, gli è stato intitolato il “Circolo della Legalità” aperto a Castellammare di Stabia, al centro della cittadina in un bene confiscato alla camorra: un passo importante per contrastare il fenomeno camorristico, purtroppo fortemente radicato nella zona.

Michele Cavaliere non è stato un eroe. È stato un uomo che ha avuto il coraggio di agire, di denunciare, di fare quello che qualsiasi uomo per bene avrebbe fatto. È questa la sua particolarità: l’essere una storia comune, semplice. Michele è stato ucciso per difendere la dignità del suo lavoro e i suoi sforzi. Sarebbe potuto accadere a chiunque e soprattutto, nonostante siano passati tanti anni, questo accade ancora oggi.
Rifiutarsi di far parte di un sistema marcio, senza alcuna logica, dovrebbe essere caposaldo di ogni cittadino. E Michele Cavaliere cittadino lo è stato sul serio. Per questo Gragnano e i paesi limitrofi più degli altri devono ricordare, parlare, non arrendersi e continuare a lottare.
D’altronde come diceva Peppino Impastato “la mafia è una montagna di merda” e noi vogliamo avere la fierezza di urlarlo forte!

Mariasofia Mucci

"In direzione ostinata e contraria" come Fabrizio De André.  Ascolto troppi dischi, vado a molti concerti e riverso le mie sensazioni su fogli Word scritti in Helvetica. La mia musica è sempre lì: tra i miei abissi e le mie montagne, pronta ad accogliermi come un vinile di Chet Baker. Faccio liste che lascio sparse in giro per casa, perché mi aiutano a mettere in ordine i pensieri, le idee e i film che devo assolutamente vedere prima di morire. Mi piacciono: la politica che mi fa sentire viva, le storie dei matti e le storie folli, i luoghi abbandonati, Kurt Cobain, la violenza sul grande schermo, i tatuaggi, i nei, il mare d’inverno, l’Islanda e l’Africa, il numero 7 che mi ricorda che ci si può dedicare una vita intera alle passioni, Peaky Blinders e Vikings, la mia Albania, perdermi tra le Chiese e i vicoli di Napoli, l’orgoglio che ci metto nel dire che sono del Sud, il giradischi che ho comprato lavorando per qualche mese ad Amnesty International e la mia (ancora piccola) collezione di vinili.