Economia inquinante: la questione dei rifiuti è un affare individuale?

Vetro, plastica, carta. Contenitore giallo, verde, blu. Ridurre l’inquinamento causato dai rifiuti è possibile grazie al processo di riciclaggio: è un dovere di ogni cittadino separare gli scarti prodotti. Ci si illude, però, che la questione dell’inquinamento sia di sola responsabilità individuale, slegata dal processo di produzione.

È di qualche giorno fa la denuncia di Greenpeace sulle critiche condizioni ambientali del Sarno e della sua foce: a pochi chilometri da noi, alcune spiagge di Castellammare di Stabia e di Torre Annunziata risultano coperte di plastica e altri materiali trasportati dal progressivo incedere del fiume. Problema di differenziazione e raccolta dei rifiuti, si dice. Ma può la questione dell’inquinamento essere affare del solo individuo? Secondo Grégoire Chamayou, filosofo e scrittore d’oltralpe, la responsabilità è imputabile al processo industriale e ad un fatto in particolare: l’abbandono del sistema del vuoto a rendere. 

Un sistema collaudato: il vuoto a rendere negli USA 

Da tempo risalente esisteva negli Stati Uniti un sistema di vuoto a rendere per la vendita delle bevande: i consumatori pagavano sul prezzo qualche centesimo in più, che gli veniva restituito quando riportavano la bottiglia vuota. Questo sistema di riutilizzo del contenitore (il vetro non veniva rifuso; la bottiglia era semplicemente riempita di nuovo) permetteva di minimizzare i rifiuti. A partire dal 1930, però, terminata l’era del proibizionismo, gli industriali della birra inventarono le lattine in metallo usa e getta. Fu una svolta: l’invenzione garantì l’abbattimento dei costi di raccolta e trattamento dei contenitori riutilizzabili e favorì la distribuzione dei prodotti su grandi distanze. La generalizzazione dei prodotti monouso implicò un aumento esponenziale della produzione dei rifiuti e le prime conseguenze del fenomeno (canali, fiumi e rive disseminati di lattine) iniziarono ad essere evidenti. 

 Riciclate, gente! 

Keep America Beautiful” è un’associazione creata nel 1953 da un consorzio di aziende produttrici di bevande, tra cui Coca Cola e American Can Company (compagnia statunitense del settore delle lattine). Lo scopo nobile e paradossale dell’ente era quello di condurre campagne di sensibilizzazione dei cittadini a non disperdere le lattine e i contenitori nell’ambiente. “L’inquinamento inizia dalle persone. Sono le persone a potervi mettere fine” recitava uno slogan pubblicitario dell’epoca. Gli industriali, mentre smantellavano il sistema del vuoto a rendere, facevano appello alla responsabilità ecologica dei consumatori. E così, in pochi decenni, si assistette a un processo di rieducazione morale: la questione della gestione dei rifiuti fu scaricata totalmente sui cittadini-consumatori. Stava alla loro educazione, al buon senso cercare di limitare gli effetti dell’inquinamento attraverso il riciclaggio. Esso fu considerato (non lo è ancora oggi?) l’unica soluzione possibile a un problema che poteva essere (e può essere oggi) realmente tamponato solo attraverso programmi di riduzione della fonte 

 Plastic Free, via la plastica! 

Per fortuna, iniziano ad essere sempre più frequenti iniziative dirette a ridurre il consumo (e quindi la produzione) della plastica. In Toscana, più di 900 stabilimenti balneari hanno bandito l’uso di bicchieri e posate in plastica per limitare l’inquinamento delle spiagge. Anche le istituzioni europee sembrano muoversi lungo questa linea, varando normative dirette a vietare la vendita di prodotti monouso come cotton fioc, cannucce, cucchiai, forchette, piatti in plastica e incentivando la produzione e il consumo di oggetti biodegradabili. Esempio di Comune virtuoso quello di Pompei che, a partire dal 30 giugno, ordina la messa al bando di posate, piatti, bicchieri e sacchetti monouso non biodegradabili. 

 La questione della riduzione dei rifiuti non può che essere oggetto dell’attività responsabile e consapevole di tutti i cittadini; ad essa, tuttavia, non possono sottrarsi le aziende, chiamate a investire risorse per sviluppare processi produttivi sostenibili, per promuovere un’economia alternativa e non più inquinante. 

 

Pietro D'Ambrosio

Classe 1995 e svariati sogni nel cassetto. Diritto, politica e astronomia sono le mie passioni: razionale al punto giusto, nel tempo libero mi lascio affascinare dall’infinito. Passerei intere giornate a leggere classici perché in uno vi ho letto che “la bellezza salverà il mondo”. E ci credo follemente.