Anche i diritti vanno in quarantena?

L’Italia abbassa la serranda. Con l’ultimo provvedimento di sabato notte, il Presidente Conte ha imposto drastiche misure restrittive all’attività produttiva nazionale, riducendo in modo notevole gli ultimi sprazzi di libertà personale dei cittadini. Fin dove si può spingere la compressione dei diritti individuali costituzionalmente sanciti?

Questo non è il tempo dei dibattiti giuridici e dottrinali sulla legittimità – presunta o no – dei provvedimenti varati dal Governo o dagli enti subordinati (ci si riferisce alla portata normativa dei DPCM e delle ordinanze regionali e sindacali). Certamente, il nostro Stato di diritto, che poggia le fondamenta sul principio di legalità – secondo cui, ogni pubblico potere è istituito e regolato dalle procedure di legge – esige che il potere di legiferare sia strettamente esercitato nelle forme e nei limiti prestabiliti, soprattutto quando gli atti normativi siano idonei a comprimere le libertà individuali costituzionalmente sancite. 

In questa fase inedita della storia repubblicana, però, appare più stringente ragionare sull’altro senso che può assumere il principio di legalità, un significato sostanziale o contenutistico, e non meramente formale o procedurale: fino a che punto lo stato di emergenza può consentire la limitazione dei nostri diritti? 

A partire dal Decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020, emanato quando il virus stava drammaticamente investendo le aree del Nord Italia, il Presidente del Consiglio ha assunto il ruolo di fronteggiare l’emergenza sanitaria attraverso l’emanazione di decreti che, in crescendo, hanno affievolito le libertà di circolare liberamente sul territorio nazionale, di spostarsi all’estero, di riunirsi per praticare il culto religioso o attività associazionistiche e, in ultimo, di recarsi a lavoro. Alcuni hanno addirittura evocato la figura del dictator plenipotenziario dell’epoca romana, quella magistratura temporanea chiamata a contrastare situazioni di crisi. Tuttavia, al di là di riesumazioni storiografiche, basta leggere gli articoli della Costituzione per rendersi conto che è essa stessa a prevedere che, “in casi eccezionali di necessità e urgenza”, anche le libertà personali possano subire una compressione, più o meno incisiva, “per motivi di sanità o di sicurezza”. 

È chiaro che le condizioni necessarie che fondano provvedimenti di tale portata sono lo stato di necessità e la contingenza. Filosofi del diritto del secolo scorso – Carl Schmitt in primis – considerando “lo stato d’emergenza” una fonte del diritto, giustificavano l’adozione, da parte del capo politico, di provvedimenti eccezionali e dalla portata illimitata, non soggetti ad alcun tipo di controllo. Nel nostro stato costituzionale di diritto, una simile nozione assoluta di “stato d’eccezione” è inimmaginabile proprio perché è la Costituzione che detta i parametri d’azione di ogni potere pubblico. E attraverso questo meccanismo, i nostri diritti fondamentali sono tutelati anche quando subiscono compressioni. 

La seconda condizione è la contingenza dei provvedimenti restrittivi. Essi sono legittimi se prevedono una scadenza, se, cioè, limitano i loro effetti fino al termine dell’emergenza sanitaria.

Sembra evidente che la pandemia da Covid-19 segnerà in modo incisivo il funzionamento delle istituzioni, mettendo alla prova la tenuta di quei principi di democrazia e legalità che hanno marcato la storia dello Stato moderno. Ridefinirà, probabilmente, gli equilibri politici ed economici mondiali e farà emergere la necessità, ora più che mai, di gestire le crisi attraverso un sistema sovranazionale informato ai criteri di solidarietà e cooperazione. Modificherà lo stile di vita di noi Italiani, imponendo sacrifici estremi in termini di vittime e privazioni di libertà. Ci insegnerà, forse, a prestare maggiore importanza alla tutela della salute e dell’ambiente, non soltanto in casi eccezionali come questo.  Ci ricorderà di pretendere piena attuazione di quei diritti che la Costituzione chiama fondamentali e che rappresentano, tutti i giorni, i veri anticorpi del nostro sistema politico, culturale e sociale.  

Pietro D'Ambrosio

Classe 1995 e svariati sogni nel cassetto. Diritto, politica e astronomia sono le mie passioni: razionale al punto giusto, nel tempo libero mi lascio affascinare dall’infinito. Passerei intere giornate a leggere classici perché in uno vi ho letto che “la bellezza salverà il mondo”. E ci credo follemente.