“Corridoi umanitari – Il ponte”, un progetto della Caritas Diocesana: di che si tratta?

La Caritas Diocesana di Sorrento-Castellammare di Stabia, alla quale appartiene anche Sant’Antonio Abate, è una delle protagoniste del progetto “Corridoi umanitari”, volto a facilitare l’ingresso in Italia a profughi che vivono in particolari condizioni di vulnerabilità; ma non è solo questo. Guardando negli occhi di alcuni migranti arrivati a Sorrento, ne abbiamo capito di più.

Lo scorso febbraio a Sorrento sono arrivati 19 migranti originari del Sud Sudan e dell’Eritrea. Una notizia che, a primo acchito, sembra non dirci nulla di nuovo, se non fosse che i migranti in questione sono venuti in aereo, con una meta già definita, qualcuno qui che li aspettava, ma con la stessa paura dell’ignoto che i telegiornali ci hanno abituato a vedere negli occhi di chi affronta il mare. Queste informazioni confuse e apparentemente contraddittorie servono solo a catturare la vostra attenzione: vi chiediamo di continuare a leggere per capire di cosa si tratta e, soprattutto, di spogliarvi di pregiudizi e cliché almeno per qualche minuto; il tempo di arrivare a fine articolo e provare a farvi una libera opinione personale, ma basata su informazioni concrete.

“CORRIDOI UMANITARI”: COS’È, CHI LO FINANZIA E PERCHÉ
Andiamo con ordine: le 19 persone di cui vi abbiamo solo accennato sono arrivate con “Corridoi umanitari”, progetto-pilota promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia – che agisce attraverso Caritas Italiana – e dalla Tavola Valdese, che hanno firmato un protocollo d’intesa anche col governo italiano. L’obiettivo è quello di consentire l’ingresso legale in Italia, nel giro di un anno, a 1.000 persone provenienti dall’estero (al momento ne sono arrivate solo la metà). Persone che vivono in “condizioni di vulnerabilità”, vale a dire non solo tra bombe sotto i piedi, dittature a schiacciare la testa e/o fame a non alimentare nemmeno le speranze; ma anche vittime di persecuzioni, torture e violenze, malate, disabili… 1.000 profughi, come si usa solitamente definirli.  1.000 profughi che stanno peggio rispetto al peggio, e per questo vengono individuati da Caritas Italiana, supportata dal personale dalla Comunità di Sant’Egidio, direttamente nei Paesi interessati dal progetto.
Dopodiché, si procede in questo modo:

  • viene stilato un elenco dei potenziali beneficiari;
  • s’invia l’elenco alle autorità consolari italiane, che procedono con gli opportuni controlli (e qui entra in gioco il fattore sicurezza che tanto spaventa molti italiani);
  • è rilasciato agli aventi diritto un visto umanitario con validità territoriale limitata;
  • inizia il viaggio dei migranti verso il Bel Paese, a bordo di aerei autorizzati (altro obiettivo del progetto è contrastare lo sfruttamento dei trafficanti di uomini), con arrivo presso strutture già definite, appartenenti agli enti promotori dell’iniziativa. Solo da questo momento in poi, potranno iniziare le lunghe e complicate procedure per richiedere il diritto d’asilo.

Cosa importantissima: tutti i costi – tutti – sono sostenuti dalle Chiese e dalle associazioni aderenti; nessuno deve versare 35 euro a nessuno, insomma (a proposito di cliché!).

A SORRENTO SPUNTA “IL PONTE” E NASCE UNA GRANDE FAMIGLIAL'immagine può contenere: una o più persone, persone sedute e spazio al chiuso
Una volta capito cos’è “Corridoi umanitari” a livello generale e teorico, entriamo nello specifico e pratico, prendendo come esempio l’esperienza partita a febbraio in quel di Sorrento. La Diocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia accoglie, come già detto, 19 migranti: 8 donne, 11 uomini; tra questi, 9 sono minori. 10 sono originari del Sud Sudan e 9 dell’Eritrea; ma tutti provengono da campi profughi in Etiopia, dove si stavano già, in qualche modo, rifugiando.
Il braccio operativo è quello della Caritas. Al direttore don Domenico Leonetti e alla responsabile Flora Santaniello il compito di seguire tutto l’evolversi del progetto, dai primordi a quando, tra meno di un anno, finirà. Progetto che è stato emblematicamente chiamato “Il ponte”, e non c’è bisogno di dare troppe spiegazioni sul perché.
Come una famiglia assai numerosa, i migranti ora vivono in alcuni locali di proprietà della Diocesi, alle spalle della Cattedrale di Sorrento. A fargli compagnia ci sono 2 collaboratrici e 1 mediatrice, che si alternano tra loro e hanno il compito non solo di assisterli, ma anche di aiutarli nel renderli autonomi. Renderli autonomi in casa e in cucina, ma anche nei rapporti sociali. Ovviamente, fattore necessario per l’autonomia è la lingua: ecco perché i più piccoli frequentano già la scuola, mentre gli altri seguono lezioni private all’interno della struttura tre volte a settimana. Per una maggiore integrazione, poi, il programma prevede anche scuola-calcio, due volte a settimana.

UN’IDENTITÀ DI CUI RIAPPROPRIARSI TRA TANTE DIFFICOLTÀ
Prossimamente, i migranti andranno anche a prestare servizio presso le Parrocchie della Diocesi, per aumentare le proprie competenze e metterle a servizio di una comunità che dovrebbe diventare la loro. Il condizionale è d’obbligo, perché per quanto il progetto sia ricco di buoni propositi si scontra con una realtà che all’accoglienza è poco avvezza. E non parliamo solo di persone che temono lo straniero per i cliché che vi abbiamo invitato già a mettere da parte o per convinzioni più o meno opinabili; parliamo anche di un sistema burocratico che è meno pronto di chi ancora crede al luogo comune dei 35 euro al giorno. I profughi arrivati a Sorrento per il momento sono ancora nessuno. Già, nessuno. Non hanno identità in Italia. Non sono rifugiati, non sono immigrati, non sono nessuno. Le pratiche per il diritto d’asilo con la loro astrusità di fondo sono ancora in corso – seguite meticolosamente dai responsabili della Caritas Diocesana – e solo da allora gli ospiti di Sorrento potranno iniziare a cercare attivamente lavoro e ad avviarsi verso la piena autonomia. Come vi sentireste a dover lasciare un Paese che non fa più per voi, ad arrivare in una nuova terra in cui riporre speranze, ma senza la vostra identità? Con la vostra laurea in ingegneria che non vale niente e una nuova incomprensibile lingua da imparare? Questa storia vi ricorda qualcuno o qualcosa? Bene; tenete a mente di bruciare i cliché e continuate a leggere.

IL SENSO DI “CORRIDOI UMANITARI” NEGLI OCCHI DEI MIGRANTI DI SORRENTO
Noi gli ospiti di Sorrento li abbiamo conosciuti. Ci abbiamo potuto scambiare poche parole, perché molti l’italiano non lo masticano ancora. I più sorprendenti sono i bambini: già dialogano in maniera quasi invidiabile. Al di là delle parole, però, per fortuna esistono altri modi per comunicare: i più efficaci sono gli sguardi. Ed è nei loro occhi che siamo riusciti a scorgere il perché di “Corridoi umanitari”.
Per un attimo ci siamo dimenticati da quale parte del mondo provenissero, del fatto che scappassero da guerra e dittatura, della fortuna che hanno avuto nell’essere rientrati tra 1.000 – solo 1.000 – aventi diritto che sono arrivati legalmente su un aereo e non vendendo pure l’anima ad un trafficante con un barcone; per un attimo ci siamo concentrati sui loro occhi. E sapete cosa ci abbiamo visto? I nostri occhi. Gli occhi di noi giovani quando iniziamo a valutare la possibilità di lasciare la terra in cui viviamo perché non vediamo più domani. Gli occhi dei nostri genitori quando si preoccupano del nostro avvenire. Gli occhi di chi ancora non sa cosa rispondere alla domanda: “Che vuoi fare da grande?”. Gli occhi di chi cerca un futuro, insomma; e per vederlo deve alzare lo sguardo un po’ più in là. Solo che chi parte da qui, in genere, sa che potrà tornare a casa ogni qual volta vorrà; sa di poter andare di nuovo al solito bar coi soliti amici, di poter riabbracciare chi lo starà aspettando, di poter passeggiare in quei posti che gli sono mancati. E chi parte da qui lo fa per salvarsi la pelle in senso figurato; chi parte dal Sud Sudan o dall’Eritrea la pelle se la deve salvare in senso più che pratico. Poche differenze che non dividono; perché chi parte è, in ogni caso, un uomo. Se ci guardassimo solo negli occhi, forse sarebbe più facile rendersi conto dell’umanità che ci rende uguali e diversi gli uni dagli altri. “Corridoi umanitari” ci invita a ricordare che, nel bene e nel male, siamo proprio umani; tutti esseri umani.

 

Articolo realizzato da Feliciana Mascolo con la collaborazione di Valerio Nastri

Feliciana Mascolo

“Devi cambiare d’animo, non di cielo”: la frase che mi ripeto più spesso quando mi viene voglia di scappare; ma restare mi piace di più. Credo nelle radici anche quando meriterebbero di essere estirpate. Il mio primo amore è stato – ed è – il calcio. A 14 anni ho iniziato a seguire il Sant’Antonio Abate, prima da appassionata e poi da addetto stampa: Eccellenza, serie D, Eccellenza e continua a leggere