La storia di Rosa: a dieci anni convive con la disabilità uditiva

Nell’ambito della nostra inchiesta sulle disabilità invisibili, ci siamo fatti raccontare dalla piccola Rosa – che ha solo dieci anni – cosa significa nascere con una sordità profonda.

Rosa ha solo dieci anni e la vita l’ha già messa duramente alla prova. Nata con una sordità profonda, ha indossato le sue prime protesi acustiche ad appena quindici mesi. Da quando ha compiuto due anni invece convive con un impianto, ma nonostante il supporto dell’apparecchio sono ancora diverse le difficoltà che incontra nella sua quotidianità. 

Nell’ambito della nostra inchiesta sulle disabilità invisibili, noi di Tutta n’ata storia abbiamo voluto raccogliere la sua testimonianza 

Rosa vive a Sarno, è lì che frequenta la scuola e che fa i conti con la sua sordità. Mentre ve ne parliamo, però, vorremmo ve la immaginaste come una ragazzina qualunque, di quelle che vedete in giro per Sant’Antonio Abate, di quelle che studiano, ascoltano la musica alla radio, crescono nell’affetto della famiglia e nel confronto coi loro coetanei. 

Vorremmo ve la immaginaste così perché è questo Rosa, Comune di residenza a parte. Studia, la musica le piace anche se non riesce ad ascoltare canzoni troppo veloci. Quando un brano la fa innamorare, come tutte le ragazzine della sua età lo ascolta mille volte e ne impara qualche pezzetto a memoria. Passeggia tra le strade della sua città e riesce a farlo senza troppi problemi: “per strada sono attenta – ci ha raccontato – e con gli apparecchi riesco a sentire i clacson delle macchine”. Non le manca però il senso critico, e la consapevolezza che a Sarno, ma un po’ dappertutto secondo noi, c’è ancora da fare se si vuole davvero semplificare la vita a lei e a chi a come lei deve convivere con la disabilità uditiva: “mi farebbero comodo più semafori per i pedoni e più attraversamenti perdonali” ha detto. 

Nel suo ambiente invece si sente serena: ogni rumore è familiare e riconoscibile, la sua famiglia è premurosa, i suoi genitori hanno imparato a comprenderla e a comunicare con lei andandole incontro e superando insieme le sue difficoltà. 

Ma se la storia di Rosa è così semplice, se davvero bastano un impianto acustico e una casa piena d’amore per fare una vita normale nonostante la sordità, perché ve la stiamo raccontando? 

Proprio per dimostrarvi quanto invisibili possano essere certi disagi. Perché dietro la vita normale di una ragazzina di dieci anni che ascolta la musica e attraversa la strada senza problemi, c’è la difficoltà emotiva della comunicazione con gli altri. “È la cosa che mi pesa di più – ci ha confidato Rosa – Spesso ho difficoltà a capire quello che mi dicono e per imbarazzo non chiedo di ripetere, così mi intristisco e chiudo in me stessa. Mi capita spesso coi messaggi vocali, soprattutto se qualcuno parla a voce bassa. Per me diventa impossibile decifrarli”. 

E poi c’è il Covid. Che se già per i normo-dotati è una piaga e un limite non da poco, per una persona con difficoltà uditive è stato il colpo di grazia. Chi non sente bene – Rosa compresa – il più delle volte si aiuta leggendo le labbra, cosa che con la mascherina è diventata impossibile. Così l’obiettivo dell’inclusione sociale per tutti appare oggi ancora più lontano.  

Per fare la nostra parte in difesa dei “disabili invisibili”, Tutta n’ata storia con la collaborazione dell’associazione Io Non Ti Conosco ha condotto un esperimento sociale sul territorio di Sant’Antonio Abate per informare e sensibilizzare la popolazione su cecità e ipoacusia. Continuate a seguirci per vederne il risultato. 

 

Per quest’intervista si ringrazia la dott.ssa Laura Apuzzo, logopedista.

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Valentina Comiato

Un incastro di contraddizioni croniche, a partire dal fatto che potrei scrivere di qualunque cosa ma che vado in crisi se si tratta di parlare di me. 30 anni, copywriter, giornalista e marketing manager. Laureata in lingue perché affascinata da tutto quello che non somiglia al posto in cui vivo. Sarà perché vivo in un paese piccolo, dove per i sogni a volte sembra non esserci spazio, allora ogni tanto vorrei infilarli in valigia e portarli con me all’estero. Viaggi brevi però, perché credo anche nelle radici, continua a leggere